Su un altro petto

Così una volta, dopo un’altra brutta giornata, mi arresi sul tuo petto e confessai: “io non saprei come fare se tu non ci fossi”. Una frase fatta e inflazionata, degna dei più banali film d’amore, di un libro di Federico Moccia, di un messaggino preconfezionato di cui fare un copia e incolla.
Mi piacerebbe dirti che probabilmente esageravo.
Mi piacerebbe dirti, e dire anche a me, che quello che perdi ti segna ma non ti svuota, che si dipende unicamente da sé stessi e che io l’ho imparato il giorno esatto in cui il tuo incedere spedito ti ha portato tanto lontano da non permettermi più di distinguere il rumore dei tuoi passi. Invece ti dico, e mentre lo dico un po’ piango e un po’ rido, che non è mai successo. Che il rumore dei tuoi passi ancora me lo ricordo, lo custodisco, lo riconosco in mezzo al rumore dei passi di tutto il mondo.
Ti dico, poi, che non esageravo.
Dicevo che non sapevo come avrei fatto se tu non ci fossi stato e adesso che non ci sei, effettivamente non so come faccio. Mi domando com’è che mi alzo lo stesso, perché esco, con chi rido, per chi scrivo. Mi domando come resto in piedi sotto i colpi che incasso, e se esiste qualcun altro, da qualche parte nell’Universo, in grado di sentire da lontano le urla che non faccio. Mi domando quando e come troverò il coraggio di arrendermi su un altro petto.

Abbraccio arte

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